sabato 20 ottobre 2012

L'Eredità
















Carla Gozzi


 







Questa sono io!

Piacere a tutti,



questa sono io…
Mi potrei definire “portatrice sana di curiosità innata”, quella curiosità positiva, che non è pettegolezzo. Tranquilli, lo so: ho passato da un po’ l’età dei “perché”, ma mi è rimasta la voglia di chiedere, capire, indagare, scavare… in una parola: intervistare.
E così, dal 2009 collaboro con un giornale occupandomi della sezione "Cultura e Spettacolo".
Perché ho deciso di aprire un blog? Semplice: mi spiaceva buttare del materiale che, per ovvi motivi di spazio, non può essere pubblicato.
Quindi ho creato questa pagina web ed ecco qui la versione integrale delle mie interviste!
Davanti e dietro le quinte, appunto.
Non voglio certo avere la presunzione di spiegare “come si fa” un articolo di giornale, ma posso raccontarvi alcuni retroscena, il backstage dei miei incontri con gli artisti, le curiosità, i “fuori onda”…
Tutto quello che accade e non può venire pubblicato sulla carta stampata per ragioni tecniche.
Buona lettura!


"E' importante avere sogni abbastanza grandi da non perderli di vista mentre si perseguono" - Oscar Wilde


Tutto iniziò casualmente.
Scrissero un articolo su di me ed io, vedendo le dinamiche con cui si svolgeva un'intervista, mi innamorai di questo lavoro.





un tuffo nel passato... ma sono sempre io!
Un backstage in costume d'epoca, mentre recito alla rievocazione storica di Villa Arconati



ed ora torniamo ai giorni nostri: a Verissimo con le giornaliste del TG5 Costanza Calabrese e Susanna Galeazzi.  Che sia di buon auspicio?

Eccomi lì, seduta alle loro spalle, quasi volessi stare un passo indietro, ad ascoltare ed imparare.
Chissà se un giorno sarò anch'io lì a raccontare le mie esperienze lavorative!
Per ora mi accontento di farlo qui, sul mio blog.
Ma del resto, come mi ricorda sempre il mio "addetto stampa" per spronarmi: "anche il mare è fatto di gocce".
Quindi, goccia dopo goccia, mattone dopo mattone, passettino dopo passettino...
forse anch'io riuscirò a percorrere questa strada e costruire qualcosa di buono, no?
Perchè, come disse John Kennedy, "anche mille miglia iniziano da un passo"...





Con Silvia Toffanin in una delle puntate di Verissimo 2010-2012 a cui ho preso parte... anche il rosso porta bene, no?

Marco Simoncelli

Avrei tanto voluto conoscere Marco Simoncelli: per stringergli la mano e godere di quel sorriso che in molti dicevano fosse in grado di illuminare una giornata.
Così, quando mesi fa mi è capitata l’occasione di dover intervistare Ringo per questo settimanale, avevo fatto in modo di programmare l’incontro un martedì, nel palazzo di Virgin Radio, per poter incontrare anche Marco che proprio in quel giorno della settimana conduceva con lui “Revolver Supersic”.
Non volevo conoscere il "bel motocicilista famoso che piace alle ragazze": mi piaceva l'idea di conoscerlo di persona e "come persona", al di là della sua fama.
E sarei quasi riuscita nel mio intento se, a metà strada, una pioggia improvvisa non avesse bloccato la mia corsa in scooter verso la radio, facendo slittare l’appuntamento. Mi era rimasta solo la consolazione di una foto, di Marco e Ringo, durante una diretta del programma, a corredare  il nostro articolo e un tragico destino, domenica, mi ha lasciato per sempre il rimpianto di non poterlo incontrare mai più.
Così, ho pensato di chiedere proprio a Ringo un ricordo di questo ragazzo che, oltre che come talento naturale, lui aveva avuto il privilegio di conoscere umanamente. Ecco il suo commosso ricordo e l'articolo che ho scritto:



Dj Ringo!


Con Ringo, nel bellissimo palazzo milanese di Virgin Radio...


Ringo con Franca, la mia addetta stampa (nonchè mamma...)



E guardate un po' chi ho ritrovato! Alvin, che conduce su Radio 105,
la cui sede è nello stesso edificio di Virgin.



Con la maglietta di Virgin regalatami da Ringo...



Il microfono di Virgin che "accoglie" i visitatori all'ingresso...fico, eh?



Proprio come questo quadro che vede ritratti i grandi Madonna & Elvis
in vesti vagamente... anacronistiche!

Che destino beffardo, il tuo, Lucio...

Tu che sei arrivato il 4 marzo 1943 e tu che ci darai il tuo ultimo saluto il 4 marzo 2012.



Le tue canzoni mi hanno sempre accompagnata, da piccola quando di sera mio padre mi cantava pezzi accompagnandosi con la chitarra per farmi addormentare, fino ad ora.
Non mi sento affatto vecchia a dirlo, non me ne vergogno di essere così perdutamente innamorata della tua musica, perché sei sempre stato un artista incredibilmente moderno, quasi visionario si potrebbe dire.
Dai, Lucio, “Com'è profondo il mare” l'hai scritta nel 1977: non ti pare che sia tuttora sorprendentemente attuale?
Ci ho pensato, non credere, se sia mai esistito o esisterà un cantautore della tua portata, e con l'immensa stima e rispetto che posso avere per altri, mi sono risposta semplicemente “no”.
Tu che mi hai tenuto compagnia con “Canzone”, che io e il mio primo fidanzato ci eravamo dedicati e cantavamo insieme a squarciagola in macchina ogni sera, tu che mi hai fatta riflettere con “Prima dammi un bacio” su cosa sia l'infinito sentimento dell'amore e su cosa voglia dire che uomo percorra tutto il cielo a piedi...
Tu che mi hai strappato un pianto viscerale e singhiozzante a teatro guardando la tua Tosca.
Ha detto bene Gigi d'Alessio ieri alla radio: hai lasciato al popolo italiano un inestimabile patrimonio artistico con le tue canzoni, e non temere che la tua voce possa svanire nelle nostre orecchie tanto facilmente!
Dove lo trovi un altro che ti spara certi acuti e fa della propria voce un veicolo di emozioni e stati d'animo umani come te?
Non sforzarti, te la do io la risposta: da nessuna parte.

Sai cosa penso?
Penso proprio che tu fossi un pazzo, uno di quegli uomini che sa vivere la vita e sa, a dispetto dei più, che cosa essa sia veramente.
Uno di quelli che sa come si trattano i sentimenti, e mi sarebbe piaciuto così tanto che tu insegnassi tutte queste cose a tante persone...
Se avessi avuto un giorno da passare con te, avrei voluto che mi portassi a far due passi per Bologna, che mi raccontassi i tuoi ricordi più importanti; non avrei voluto parlare della tua musica, mi avresti fatto vivere come te per un giorno e ci avrei visti bene ad andare in giro in bici per le strade della tua città con gli occhiali da sole scuri ridendo.
Secondo me eri così, genuino e amante del semplice.
E invece non posso più farlo, perchè te ne sei andato senza dire nulla.
Ma del resto anche questo è nel tuo stile.
Un attimo, un silenzio che il maestro d'orchestra detta improvvisamente ai suonatori,
il foro di un clarinetto tappato senza avvertenza: ci hai lasciati di stucco, lo sai?

Forse ci capiterà di vederti ancora camminare dove il mare luccica,
e tira forte il vento...
e all'improvviso ci uscirà una lacrima e crederemo di affogare.

Ciao Lucio,
grazie di tutto.
Ci si vede prima o poi, adesso goditela e ridi un po' di noi da lassù!

Il Mago Forest





il teatro Arcimboldi a Milano, dove si registra "Zelig"

Il carcere di Bollate

 









Rodrigo




Casa Testori


domenica 5 febbraio 2012

Kate Fretti e Marco Simoncelli

C’è stato un periodo, un breve periodo, in cui il nome di questa ragazza aveva scalzato su Google persino quello della sua celeberrima omonima, Kate Middleton.
Erano i giorni del dolore, quelli in cui ti bastava digitare Kat, le prime tre lettere di quel nome fino ad allora sconosciuto, e subito ti compariva lei, Kate Fretti, quasi fosse una star.
Ma poi la vedevi, cercavi le sue foto che stavano ormai invadendo il web, e ti rendevi conto che della star non c’era nulla.
Osservavi quel viso semplice e al di là dei particolari tratti esotici, riuscivi a scorgere la ragazza della porta accanto, l’amica, la figlia.
La sentivi parlare, con la fatica dell’emozione, e ti veniva teneramente voglia di aiutarla a completare il discorso.
Poi, col passare dei giorni, pochi a dire il vero, la “classifica” dei nomi più gettonati si era ricomposta: la futura regina al primo posto, l’attrice al secondo, la modella al terzo, persino cantanti ormai quasi dimenticate salivano nella graduatoria…
E Kate scendeva sempre di un gradino, verso l’anonimato.
Penso fosse quello che desiderava. Credo, sono certa, non abbia mai voluto salire sul fatuo piedistallo della notorietà, assurgere al ruolo di star, sfruttare il nome di Marco, come erroneamente alcuni hanno insinuato.
Marco poteva avere veline, aspiranti show-girl, gieffine in cerca di notorietà, personaggi che popolano quotidianamente il mondo dello showbiz.
E Marco ormai faceva parte di quel mondo, era invitato ovunque, grazie non solo al suo talento, ma anche al suo carattere solare, coinvolgente.
Era corteggiato da popolarissime trasmissioni televisive (Chiambretti, Le invasioni barbariche, Scherzi a parte…) poteva conoscere e frequentare chiunque, poteva incontrare personaggi noti e, soprattutto, in cerca di notorietà, gente che bazzica il mondo dello spettacolo per lavoro o per convenienza.
Ma dal 2006 al 2011, per 5 anni prima della sua tragica morte, aveva scelto di non frequentare una qualunque starlette: aveva scelto lei, Kate.
La sconosciuta ragazza della porta accanto che non ambiva ad essere riconosciuta come “la ragazza di” o a far strada davanti ai riflettori grazie a quella relazione.
Ammetto, non sapevo neppure chi fosse Kate Fretti.
Dirò di più: non sapevo neppure che Marco Simoncelli fosse fidanzato, dando per scontato che uno come lui, che piaceva alle ragazze di mezzo mondo, avesse una storia via l’altra, forse a “causa” di quel suo carattere gioviale, quel buffo aspetto da rubacuori.
Mi ha colpito proprio per questa sua serietà, che sembrava stridere con l’immagine da “patacca” romagnolo e con i vantaggi di conquista che innegabilmente la notorietà porta con sé.
Così come mi ha colpito Kate, agli antipodi del divismo.
Per questo motivo ho deciso di contattarla per fare una chiacchierata con lei, come due ventenni che si incontrano e si raccontano la propria vita o, purtroppo, “il giorno di dolore che uno ha”.



                                                                           

                                                                         7 dicembre 2011

Piccola.
È la prima parola che mi viene in mente quando incontro Kate, che mi aspetta sulla porta della sua casa di Bagnatica (BG) con dei semplici pantaloni della tuta, le pantofole, struccata e con una coda bassa a raccoglierle i capelli lunghi e liscissimi.
Per un attimo mi sembra di non essere lì per lavoro, ho l'impressione di essere di fronte a una mia amica con cui devo andare in università o a fare shopping: «Ancora non sei pronta?» le direi con un sorriso.
Invece no, sono lì per chiacchierare con lei, e si presenta in tutta la sua genuinità, stretta con le braccia conserte per il freddo dei primi giorni di dicembre.
Mi fa strada su per le scale della sua villa, incrociando anche lo zio che mi saluta distrattamente, come si dà il buongiorno ai vicini di casa che vedi abitualmente.
Una volta entrate in casa, ci sediamo al tavolo della cucina: poco dopo arriverà sua madre e mi offrirà un caffè, per poi sparire dalla porta negli impegni mattutini.
Piccola, sì, ma con una forza da gigante dentro sé, Kate: parlando noto che sull'anulare sinistro ha un tatuaggio fatto da poco (la pelle ancora leggermente gonfia e lucida), una piccolissima scritta: “Sic”.
Mi viene da chiederle quando l'ha fatto e lei mi spiega che ha tra settimane, si ferma un attimo, distoglie lo sguardo e manda giù un boccone che probabilmente è troppo amaro per una ragazza della sua, della nostra, età e poi riprende a parlare con il sorriso.
In questo momento mi rendo conto che non c'è nulla di costruito in questi silenzi, non c'è la premeditazione del divismo ma piuttosto la compostezza di un sentimento vero, sincero.
Iniziamo la nostra chiacchierata parlando proprio di tatuaggi e piercing: io le mostro i miei e le chiedo se ne ha altri, così Kate abbassa appena l'elastico dei pantaloni per scoprire un piccolo sole con una rosa al centro, che le ispirava tanta originalità quando l'aveva fatto qualche anno fa, mi racconta, ma che ora trova abbastanza banale.
«Poi ne ho un terzo sulla caviglia, fatto proprio ieri sera.» aggiunge, ma la frase le esce di bocca più concisa delle precedenti, si ferma un attimo e lì capisco che non devo, non voglio andare oltre.
Rimane il suo segreto, e mi piace che sia così.
Cambiamo discorso: «Ti va un po' di Estatè al limone?» mi chiede, allungandomi la bottiglia e passandomi un bicchiere, con un gesto informale, che ci fa sembrare amiche di vecchia data.
Accetto volentieri, e scopriamo di avere un'altra cosa in comune: quella è la nostra bevanda preferita.
Parliamo di un suo piercing, fatto all’ombelico senza dire nulla ai genitori e neppure a Marco che «era abbastanza contrario a queste cose qui.».
«L’avevo tenuto nascosto per un po’, sotto la maglietta. Tanto, mi ero detta, quando lo scopriranno sarà passato un po’ di tempo e ormai non si arrabbieranno più… Un po’ come quando i genitori ti vedono un altro vestito nuovo e tu ti giustifichi dicendo “Questo? Ah si, l’avevo preso un sacco di tempo fa!”. Poi un giorno Marco mi aveva sfiorato la pancia e io avevo fatto una smorfia, dicendo che a pallavolo avevo preso una pallonata che mi aveva fatto male. Tu dimmi! Una pallonata sulla pancia: come mi era venuta in mente una scusa così?! Poi Marco l’aveva visto e ridacchiando aveva detto a mia madre “mi sa che la Kate deve dirti qualcosa…” e io da dietro a fargli cenno “Ma sei scemo?”».
E’ più rilassata e colgo l’occasione per togliermi una curiosità.
«Posso chiederti una cosa?».
«Si, certo!» risponde di getto, senza esitazione né il minimo sospetto di pensare a quale potrebbe essere l’argomento.
In quel preciso istante, nella sua disponibilità senza riserve, sento che si è stabilita un’empatia, un contatto.
Penso abbia percepito che non voglio speculare sul sensazionale ma
semplicemente conoscerla per raccontarla.
«Ma tu sei una modella? Hai mai fatto quel lavoro?».
“Mai”, risponde, e neppure mi chiede il perché di questa domanda.
“Meno male!” esclamo e subito aggiungo, temendo di offenderla “Scusa, ma sarebbe stato come scoprire che mi ero sbagliata sul tuo conto. Ti immagino così lontana da quel mondo… Però l’ho letto l’altro giorno, su una rivista. Parlando di te ti definivano “la modella”, chissà perché l’hanno scritto.”
“Perché scrivono un sacco di cavolate. Come quando Marco aveva fatto la pubblicità della Wii con la Moreira e avevano scritto che avevamo litigato pesantemente perchè ero gelosa.”.
Lo racconta, ma la cosa sembra non sfiorarla, non interessarla neppure.
Passiamo a parlare di un filmato visto la sera prima su Youtube, con la partecipazione di Marco al Chiambretti Night.
“Tu c’eri immagino”, le chiedio “Lo seguivi anche in questi impegni, giusto?”.
“Si, si. Ero con Luca Cassol, capitan Ventosa. Ci aveva accompagnati lui lì, e quando il presentatore, come si chiama…”
“Chiambretti” suggerisco.
“Ah sì, giusto, Chiambretti, che scema…” si ferma un attimo a ridere «quando ci ha chiesto se volevamo sederci al tavolo degli amici e parenti, io ho guardato Luca e ho risposto subito “nooo!”. Non faceva per me.».
«In effetti non ti ci vedo ospite in un programma, tipo Porta a Porta...»
«Non so cosa sia…» ammette sorridendo timidamente.
Giuro, a questo punto le darei un bacio in fronte!
Non sa chi conduce il Chiambretti Night e non conosce Porta a porta!
Sembra incredibile detto da lei, fidanzata di un campione corteggiato da tante trasmissioni televisive, lei di cui tanto si è detto, e spesso a sproposito, lei che ha frequentato assiduamente certi ambienti per seguire il suo amore.
Ecco, l'ho trovata: è questa la Kate che cerco, con cui volevo parlare e che voglio raccontarvi.
Conoscendola, ho capito: si può essere speciali pur restando estremamente normali.
Meglio: si diventa speciali quando si resta normali.
Di quella normalità che “paga”, che ti fa ricordare, come nel caso di Marco, e che ti fa “scegliere” da un ragazzo speciale, come nel caso di Kate.
Perché Kate è così: come la vedi.